Oggi con la festa di Sant’Antonio Abate inizia il Carnevale

Oggi, come ogni anno, in molti comuni italiani si festeggia Sant’Antonio Abate, protettore degli animali. Con la celebrazione della festa (Sand’Andè per i baresi) inizia ogni anno il periodo dedicato al Carnevale. In questo giorno i cittadini portano gli animali per la benedizione (a Bari presso la Chiesa di Sant’Anna del centro storico, mentre in precedenza la cerimonia si svolgeva presso il Fortino).

A questo santo è associato il bastone a T, tau, 19ª lettera dell’alfabeto greco, e un maiale. Cosa c’entra il maiale, che per i cristiani era simbolo del male? Secondo gli studiosi all’inizio si trattava di un cinghiale, attributo del dio celtico Lug, dio del gioco e della divinazione, venerato in Gallia a cui erano consacrati cinghiali e maiali. Gli stessi sacerdoti venivano chiamati “Grandi Cinghiali Bianchi”, mentre il dio Lug regnava anche sugli inferi. L’emblema del cinghiale appariva anche sugli stendardi e sugli elmi dei celti. In realtà il maiale rappresenta simbolicamente il maligno e le seduzioni che i piaceri della carne provocano.

Vito Lozito, nel suo volume “Agiografia, Magia, Superstizione” (Levante Editori), fa una esauriente descrizione del protettore degli animali, nato intorno al 250 a Coman in Egitto e morto ultracentenario nel 356. Negli ultimi anni accolse presso di sé due monaci che l’accudirono nell’estrema vecchiaia. Il 17 gennaio del 356 e fu seppellito in un luogo segreto. In questo luogo per venerarne le reliquie, affluivano folle di malati, soprattutto di “ergotismo” (herpes zoster, cosiddetto “fuoco di S. Antonio”), causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segala, usata all’epoca per fare il pane.

Sant’Antonio Abate divenne protettore degli animali ed una testimonianza di festeggiamento romano ce l’ha lasciata il poeta tedesco Goethe, che in un suo diario parla del 17 gennaio 1787, giorno sereno e tiepido, che, dopo una notte di gelo, poté assistere alla consacrazione degli animali domestici, con cavalli e muli infiocchettati e benedetti con copiose aspersioni d’acqua santa.

Ed infine qualche curiosità. In alcune località delle Marche, la festa di Sant’Antonio si festeggia anche con balli popolari, specie con il saltarello, accompagnato da corni e tamburi sino a tarda notte. Anche il fuoco è considerato parte integrante della festa. Secondo alcuni i riti attorno alla figura del Santo testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica e druidica. Una festa dunque di origini antiche finalizzata a sconfiggere il male e le malattie.

A Novoli, in Puglia, viene accesa “la Fòcara”, una pira alta 25 metri per 20 metri di diametro, ed eretta con migliaia di fascine di tralci di vite arrivate da tutta la regione.

Sul Gargano a San Marco in Lamis (FG), nel passato i bambini erano soliti scavare per terra con le mani alla ricerca di pezzi di carbone, mentre a Mattinata e Monte Sant’Angelo (FG) “usavasi mangiare pancotto con pane conservato a Natale”. A San Nicandro Garganico (FG), verso l’imbrunire si accendono “i fuochi” (falò), che saranno ripetuti la sera del 20 gennaio festa di San Sebastiano e il 3 febbraio, festa di San Biagio. Al termine della cerimonia ogni persona prende una pala di brace e la porta a casa in segno di devozione. La cenere sarà sparsa successivamente nei campi affinché siano preservati da qualsiasi intemperia e produrre molti raccolti. Queste ultime notizie sono riprese dal volume di Grazia Galante “La religiosità popolare di San Marco in Lamis – Li còse de Ddì” (Levante editori).

Di Vittorio Polito

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