Un dedalo di viuzze tra case imbiancate a calce, e la vista si spalanca sull’Adriatico.
Questa è Polignano a Mare, borgo marino arroccato sulla roccia, dove lo sguardo affonda nelblu. La leggenda racconta che la città ebbe origine da un pezzo di costa greca che, andato alla deriva, attraversò il mediterraneo fino a fondersi con la costa pugliese. E il mitico tonfo risuona nell’etimo greco polis nea, città nuova, che anticamente fu un punto strategico per la navigazione marittima.
Il mio viaggio è rapito dall’intensa cromia cerulea esaltata dal bianco acceso nei vicoli e dal ruvido candore delle falesie. Il bagliore marittimo si stempera nel tufo soleggiato delle antiche dimore.
Dal ponte romano mi staglio imponente sulla Lama Monachile, letto di un torrente ormai asciutto che echeggia risacca marina sui ciottoli bianchi. Da qui, domino l’alto frastaglio roccioso sulla profonda insenatura di Cala Porto avvolta dalle falesie.
La mente si libra nei suoni.
Un fluttuante senso di scoperta mi reimmette nel percorso e, dall’Arco Marchesale, il passaggio nel centro storico sembra evocare un tempo lento e lontano.
Al mattino la vita del borgo pulsa silente e seguo gli aromi, sparsi nel giorno. Il vago coacervo si addensa tra panna e amaretto nel solenne Caffè Speciale: doppio strato cremoso che è schiuma al palato, e poi fluido dolce e acre, come la scorza di limone nascosta in questa tipica invenzione.
Al posto appartiene anche il gusto del celebre gelato di Polignano, emblema della più autentica artigianalità pugliese, ambasciato con orgoglio nel mondo.
Fra vicoli stretti e archi rampanti, arrivo alle logge, terrazze a picco sul mare da cui dominare con lo sguardo inattese solcate di gozzi e caicchi.
Il paesaggio costiero di Polignano a Mare è un susseguirsi di cale profonde, scogliere imponenti e grotte tenebrose, dove solo ardite remate condurrebbero alle porte d’accesso per scoprire i segreti di un mondo sospeso sui flutti indomabili.
Tra i panni stesi al vento sugli usci, le edicole votive ricordano che ogni vicolo è protetto da un santo e da quel santo prende il nome. Non sfugge a questa usanza neanche la dimora che mi accoglie, intitolata a Santo Stefano. Riduttivo pensare di andarci solo a dormire. Così m’inoltro sull’antica scalinata scavata nel tufo, e sfocio sul terrazzo incantato tra l’azzurro del cielo e il cobalto del mare. Il paesaggio sfuma dentro un sogno che potrà ripetersi, anziché non ritornare mai più.
Questo blu è fiaba e mito. E’ la poesia di un verso che echeggia nel cielo infinito. E’ il colore di un mondo pittorico, come quello inventato da Chagall che dipinse persino il sogno notturno di Franco Migliacci quando scrisse la canzone italiana più famosa del mondo e ne affidò a Domenico Modugno, il più celebre figlio di questo borgo, le note per farla “volare”.
Racconto di Sabrina Merolla dal blog “In viaggio con buon vento”
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