Il cibo per eccellenza del Martedì Grasso non può che essere il maiale, che simboleggia l’opulenza e in alcuni casi il Carnevale stesso – come a Putignano, in Puglia, dove un maiale di cartapesta viene bruciato nella piazza del paese per indicare la fine del periodo di abbondanza e l’inizio della Quaresima.
Salumi e insaccati come salame e soppressata sono immancabili da Nord a Sud del Paese. In alcune regioni è diffusa inoltre l’usanza di consumare pasta fresca condita con carne suina – i bigoli con la luganega in Veneto, i maccheroni al ferretto in Basilicata e Calabria – mentre in Toscana è consuetudine mangiare braciole e fagioli all’uccelletto con salsiccia, una pietanza tipica di Viareggio, dove ha luogo lo spettacolare Carnevale, e di altre città della bella regione.
Tipico del Carnevale in Puglia è il calzone barese, una torta insolita e davvero invitante: è formata da due sfoglie simili alla pasta frolla – ottenute lavorando farina, burro, uova e zucchero –, farcite con macinato di vitello e maiale, ricotta, scamorza e uova. Il calzone viene poi cotto in forno fino a diventare di un bel color dorato.
La Puglia è anche la patria dei panzerotti, calzoni di impasto per la pizza ripieni di mozzarella e pomodoro, fritti in abbondante olio d’oliva.
Fra le specialità tipiche locali di Putignano, la farinella (che dà il nome anche alla maschera protagonista della festa), antico pasto della tradizione contadina a base di ceci e orzo tostati con l’aggiunta di sale. In passato, le famiglie versavano in un mortaio comune i legumi, che venivano successivamente sbriciolati con un pestello di pietra. Questa semplice pietanza ha rappresentato per tante generazioni di contadini l’unico pranzo consumato durante il lavoro nei campi, accompagnato con erbe selvatiche e cipolle, e spesso anche la cena, insieme al tipico macco, una purea di fave. Un piatto che ha percorso la storia del paese, divenendo, a partire dal Settecento, parte integrante anche della dieta dei nobili, che amavano gustarlo in sughi o con verdure condite. Non mancano, poi, i dolci come l’intorchiata (o intorcinata), un biscotto dalla forma intrecciata a base di mandorle, il sasanello, un altro biscottoa base di noci, mandorle e vincotto, senza dimenticare la celebre cartellata, dolce diffuso in tutta la Puglia, realizzato con una sfoglia di pasta a base di farina, olio e vino bianco, unita e avvolta su se stessa sino a formare una sorta di “rosa”, fritta in olio bollente e ricoperta con miele.
Anche Gallipoli vanta una tradizione carnevalesca secolare, che affonda le sue radici negli antichi riti pagani e precristiani. Anche qui, è la festa di Sant’Antonio Abate a dare il via ufficiale ai festeggiamenti, con il rito della focareddha, ovvero il rogo su piazza pubblica di foglie e ramaglie di ulivo. Inizialmente in scena solo nelle vie del borgo antico, dal Novecento le tradizioni del Carnevale hanno invaso anche il resto della cittadina, con tanto di sfilata di carri allegorici, usanza nata nel 1954. Maschera tipica del carnevale gallipolino è lu Titoru, iniseme alla madre Caremma, figura caratterizzante della Quaresima. La leggenda narra che Titoru(Teodoro) fosse un giovane militare che, tornato a casa, chiese a sua madre un piatto di polpette prima del digiuno quaresimale. La madre lo accontentò, ma nella foga, travolto dalla gola, Teodoro si strangolò e morì soffocato. Nel carro a lui dedicato, vengono rappresentati anche un gruppo chiangimorti, le comari che piangono i lutti della comunità. Ma ci sono anche il Re Candallino e Sua Maestà Mendula Riccia, re e regina del Carnevale che ogni anno prendono simbolicamente possesso della città, dando via libera ai festeggiamenti, fra parate, danze e buon cibo.
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